· 

Pratyahara: il ritiro dei sensi che conduce alla meditazione

Pratyahara: il ritiro dei sensi che conduce alla meditazione

Il primo passo verso la meditazione è il pratyahara, il ritiro dei sensi. Il pratyahara è definito nello Yoga Sutra di Patanjali come il ritiro dei sensi. La parola "ahara" significa "nutrimento", pratyahara si traduce come "ritirare se stessi da ciò che nutre i sensi". Questo implica il ritiro dei sensi dal mondo esterno per orientarli nel mondo interiore.

 

Pratyahara è un'esperienza che la maggior parte di noi ha fatto inconsapevolmente più volte nella vita. Ad esempio quando si è profondamente immersi in un'attività e non si sente la musica accesa nella stanza vicina, il telefono suonare, non si notano le voci in cortile, non si sente l'aereo passare, quella è una condizione di spontanea ritrazione dei sensi.

 

Gli organi di senso richiedono una costante stimolazione che, nella nostra società frenetica, tende a crescere affaticando il corpo e la mente, svuotandoli di energia. Siamo soggetti a stimoli esterni di ogni tipo e tendiamo a distrarci, pertanto la concentrazione è spesso difficile da mantenere.

 

Il pratyahara insegna a tenere sotto controllo i nostri sensi, spostando la nostra attenzione all'interno del nostro corpo. È questo il primo passo che rende possibile un percorso di consapevolezza e coscienza, per poi accedere alla concentrazione (dharana) e alla meditazione (dhyana). 

Una volta praticato il pratyahara (ritiro dei sensi), isolandoci dal mondo esterno, è dharana (concentrazione), la via che ci conduce alla meditazione. Il termine dharana è derivato dalla radice "dhar" che significa "tenere", "tenere insieme", "sostenere". Dharana è infatti l'arte di concentrare le energie coscienti su un punto fisso.

 

Gli yogi indiani hanno sperimentato in questo sforzo cosciente, un'immensa potenzialità, non solo per giungere a modificare stati di coscienza, ma anche per risvegliare stati di pace, gioia e di contentezza. È questo il segreto della meditazione. Portare l'attenzione su un singolo oggetto, reale o mentale, cercando di deviare il meno possibile e riportandovi l'attenzione ogni volta che la mente comincia a vagare. L'oggetto esterno può essere un'immagine sacra o simbolica, un mandala, un suono. L'oggetto interno può essere il respiro, una visualizzazione, la recitazione mentale di un mantra, i rumori interni del proprio corpo, la visione dello spazio ad occhi chiusi (chidakasha).

 

Durante la concentrazione la mente continua a focalizzarsi sull'oggetto prescelto, generando un flusso di immagini e sensazioni relative ad esso. La conseguenza è che perdiamo la percezione di ogni altra sensazione, almeno per qualche tempo e, idealmente, per tutta la durata della seduta. Il percorso consigliato è quello di andare da una percezione più generale, più grossolana, a una più particolare, più sottile, ad esempio passare dall'ascolto dei rumori esterni, alle sensazioni del nostro corpo, al respiro. È come stringere le maglie di una rete, per andare sempre più nel particolare. Il processo meditativo si realizza quando tutta l'energia della persona entra in un rapporto intenso, vivo e vibrante con l'oggetto della concentrazione.