I metodi principali della meditazione buddhista sono divisi in śamatha (meditazione della tranquillità) e vipassana (meditazione dell'intuito o di profonda visione). Il termine meditazione di visione profonda viene talvolta utilizzato per l'intera meditazione buddhista. Le meditazioni samatha includono l'anapanasati (coscienza del respiro) e i quattro brahma-viharas dei quali mettā bhāvanā è il più praticato; attraverso essa il praticante ottiene i quattro dhyāna (stati meditativi). Le meditazioni vipassana comprendono la contemplazione dell'impermanenza, la pratica dei sei elementi (la contemplazione del corpo e del respiro, della mente e delle sensazioni) e la contemplazione della condizionalità. Le meditazioni samatha solitamente precedono e preparano per quelle vipassana, a volte possono essere alternate. Contemplando l'oggetto della meditazione, il praticante ottiene il sati (consapevolezza) e il samādhi (unione del meditante con l'oggetto), base per l'illuminazione.
Śamatha (meditazioni della tranquillità):
Vipassana (meditazioni dell'intuito)
Esistono altri tipi di meditazione, come su temi specifici, o metodi; ad esempio nello Zen/Chán si utilizza la meditazione zhǐguān (giapponese shikan o shikantaza) evolutasi nello zazen (meditazione seduti, concentrati sul respiro e la vacuità); essa è ripresa direttamente dalla Samatha (Zen è la traduzione di dhyāna, gli stati meditativi) e dalla Vipassana (zhi sta per samatha, guan per vipassana). In generale tutte le meditazioni buddhiste del Mahayana e del Vajrayana sono evoluzioni di samatha/vipassana praticato oggi nel Theravada, con l'utilizzo aggiuntivo dei mantra o di particolari oggetti di meditazione (es. Yidam).
Vipassana (pali, in sanscrito: vipasyana) è una delle principali forme della meditazione buddhista, detta anche meditazione di visione penetrativa. Nella lingua indiana, ai tempi del Buddha, la parola "passana" significava guardare, vedere ad occhi aperti, ma "vipassana" è osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità fondamentale dell'intera struttura mentale e fisica. La meditazione vipassana non è finalizzata al raggiungimento di stati di assorbimento meditativo e non ha un carattere astrattivo come la meditazione samatha. Al contrario la meditazione vipassana intende sviluppare la massima consapevolezza. Il corpo e la mente sono il campo nel quale è possibile scoprire la verità del mondo fenomenico. La tecnica della meditazione vipassana è insegnata dal Buddha nel "Discorso sui fondamenti della presenza mentale" (Satipatthanasutta), e prevede i seguenti momenti:
CONTEMPLAZIONE DEL CORPO
CONTEMPLAZIONE DELLE SENSAZIONI
CONTEMPLAZIONE DELLA MENTE
CONTEMPLAZIONE DEGLI OGGETTI MENTALI
Chi pratica questa meditazione viene condotto ad essere consapevole di ciò che si sta facendo, delle sensazioni che si prova e della propria attività mentale, in qualunque momento della giornata, non solo nel momento della pratica stessa. Si fa tuttavia presente come il Buddha indicasse in una sinergia tra la meditazione vipassana e quella samatha, in quanto senza un preventivo esercizio di concentrazione, risulta futile e pericoloso quanto andare in battaglia con una spada non affilata.
La meditazione vipassana ci insegna che osservando, come un testimone distaccato, ciò che ci accade internamente, ben presto scopriamo che queste sensazioni spariscono. Questo è il fenomeno dell'impermanenza, cioè avere la consapevolezza che in natura tutto è mutevole. Lo dimostrano le sensazioni percepite nel nostro corpo, che cambiano continuamente, e ancor più l'instabilità della nostra mente. Le sensazioni sono un crocevia in cui mente e corpo si incontrano. Questo fenomeno mentale-fisico è come una medaglia a due facce. Da una parte ci sono tutti i pensieri e le emozioni che sorgono nella mente, dall'altra il respiro e le sensazioni nel corpo. Così, osservando il respiro e le sensazioni così come sono, senza giudicarle o sfuggirne, scopro che le impurità perdono la loro forza e non riescono più a travolgermi.
Normalmente si ha la tendenza a cercare fuori la causa della felicità o infelicità, ignorando la realtà interiore, non si comprende che la causa della sofferenza o della serenità, giace dentro di noi. Lasciare che le impurità si manifestino e poi se ne vadano via, come guardare una nuvola passare nel cielo, ci permette di coltivare il giusto distacco che dona pace interiore. Questo distacco non è però fuga o indifferenza riguardo ai problemi del mondo. Imparare il sereno distacco significa essere pienamente impegnati nel mondo, mantenendo una mente equilibrata.
Questo è ciò che ci ha insegnato il Buddha. Egli insegnò a osservare semplicemente la natura così com'è, osservando la propria realtà interiore. Per ignoranza si continua a reagire a ciò che ci accade intorno, ma quando la saggezza si risveglia, allora l'abitudine a reagire viene abbandonata. Quando smettiamo di reagire ciecamente, allora diventiamo capaci di agire davvero, liberandoci dalle tre cause di sofferenza: dalla bramosia, dall'avversione e dall'ignoranza.