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UPANISHAD

Testi dello Yoga
Upanishad

Le Upanishad del periodo vedico (800 a.C. - 300 a.C.), sono un insieme di testi religiosi e filosofici. ll termine Upanishad deriva dalla radice verbale sanscrita "sad" (sedere) e dai prefissi "upa" e "ni" (vicino) ossia "sedersi vicino", ma più in basso, accanto ad un guru, o un maestro spirituale, suggerendo l'azione di ascolto di insegnamenti spirituali. Questo anche per ricordare che in passato questi insegnamenti venivano trasmessi per via orale, solo a chi ne era degno.

 

Le Upanishad del periodo storico preso in esame, sono quattordici: l'Aitareya, la Kausitaki, la Chandogya, la Kena, la Taittiriya, la Katha, la Svetasvatara, la Mahanarayana, la Maitri, la Brhadaranyaka, la lsa, la Prasna, la Mundaka e la Mandukya. Questi testi, si ricollegano ai quattro Veda, i testi sacri dell'ortodossia indù, ed insieme a Brahmana e Aranyaka, rappresentano la Sruti, ovvero la sapienza, trasmessa direttamente dall'Assoluto. In queste Upanishad, troviamo definiti i concetti di samsara (pellegrinaggio, in questo caso da una vita all'altra), karma (azione), inteso come principio morale iscritto nell'universo, e moksa, la liberazione dall'intero processo.

 

Nella Taittiriya Upanishad, si trova il riferimento più antico allo yoga, come a una pratica spirituale. L'Upanishad contiene un famoso passaggio in cui viene illustrata la dottrina delle cinque persone o strati (successivamente chiamati "involucri" o "guaine", kosha) che costituiscono l'individuo. Il secondo adhyaya (capitolo) detto Brahmanandavalli (la liana della beatitudine del Brahman) propone la conoscenza quale realizzazione del Brahman (l'Assoluto). Il Brahman risiede nel cavo del cuore dell'essere umano, nella sua espressione totale, l'Essenza incarnata, della natura del Brahman, è racchiusa da diversi involucri-corpi (kosha) che esprimono qualità energetiche, come desideri e altro (guna), le quali vanno rettificate e trascese. Si inizia col corpo fatto di cibo (anna) passando per il corpo fatto di pensiero (manas) fino ad arrivare all'involucro-corpo fatto di pienezza (ananda). Dalla prospettiva realizzativa quando si trascendono le proprietà qualitative di questi kosha, composti dalla sostanza-prakriti, si ottiene l'integrale liberazione. Per una realizzazione del Brahman supremo occorre discriminare (viveka) ciò che è la propria Essenza dagli strumenti di contatto e di rapporto (kosha) con le qualità che loro esprimono; poi distaccarsi (vairagya) da ciò che non è quell'Essenza. Un "liberato in vita" è colui che è nel mondo ma non è del mondo.

 

Nella Prasna Upanishad, abbiamo espressi i concetti dei 5 prana e delle Nadi che attraversano il corpo. Prana è un termine sanscrito che è formato dalla radice "pra", che significa unità fondamentale e "na", che significa energia. Quindi il prana è l'energia unitaria fondamentale che tiene unito il tutto. Nella Prashna Upanishad troviamo che il prana viene dall'Atman e l'Atman è Brahman, principio generativo e conoscitivo in cui confluiscono tutte le facoltà umane e divine. Il prana è il principio della vita e della coscienza. Il prana è il soffio di vita in tutti gli esseri dell'universo, che nascono e vivono grazie ad esso, e quando muoiono, il loro soffio individuale si dissolve nel soffio cosmico. L'Upanishad dà indicazioni dettagliate sulla suddivisione del prana all'interno del corpo: apana, che controlla il flusso inferiore ed è collocato negli orifizi di escrezione e generazione; prana, che controlla il flusso superiore; samana, che controlla l'assimilazione e la distribuzione del nutrimento solido e liquido, riversandolo come un'offerta sacrificale nel fuoco corporeo, situato nello stomaco; vyana, che dalla regione del cuore si dirama attraverso centouno canali nervosi (nadi) primari, da cui se ne diramano altri settantaduemila, pervadendo la totalità della struttura sottile; udana, è il soffio vitale che scorre lungo la nadi verticale detta sushumna. Il prana corrisponde al sole, l'apana alla terra, il samana allo spazio, il vyana all'aria, l'udiana alla luce. Al momento della morte, quando la luce interna del soffio vitale sta per estinguersi, gli organi, e cioè i vari prana, vengono riassorbiti nella mente. Allo stesso modo in cui i raggi si riassorbono e riunificano nel sole quando questo tramonta e di nuovo se ne diffondono quando sorge il sole, così, nello stato di sogno con sogni, i sensi e i loro oggetti si riunificano nel deva che è la mente. Sulla cittadella del corpo addormentato vigilano i fuochi dei cinque soffi vitali del prana. Il samana controlla l'inspirazione e l'espirazione. L'udana, il soffio vitale ascendente, conduce la mente, che durante il sonno con sogni è sveglia, al Brahman, riassorbendola nello stato di sonno profondo senza sogni. Sebbene il passaggio attraverso i tre stati avvenga ugualmente per tutti gli uomini, soltanto il conoscitore lo vive consapevolmente.

 

Nella Mandukya Upanishad, abbiamo la descrizione del mantra Om. Questa Upanishad presenta una delle teorie principali della filosofia indiana, la teoria degli stati molteplici dell'essere. Stati che sono sia del Brahman, l'Assoluto, che dell'essere umano, e che trovano la loro simbolizzazione nell'omkara, ossia il mantra Om. Il divenire, con la successione temporale passato-presente-futuro, è rappresentato dalla sillaba Om, ma anche ciò che trascende il divenire è ancora Om. L'Upanishad sancisce anche l'identità Brahman-atman. Nell'individuo questo atman si presenta in quattro parti: stato di veglia (in cui si ha conoscenza degli oggetti esterni), stato di sonno con sogni (in cui si ha conoscenza degli oggetti interni), stato di sonno profondo (in cui la conoscenza è sperimentata come beatitudine) e stato di trance (conoscenza-non conoscenza). Se scomponiamo la pronuncia dell'Om, vediamo che è formata da tre lettere: A,U,M che sono la rappresentazione dei tre stati di coscienza che sfociano in un quarto: A: lo stato di veglia o stato sensoriale (conscio) - Vishva, U: il sonno o subconscio - Svapna, M: il sonno profondo o inconscio - Prajna. Il prolungamento del suono, va a indicare un quarto stato ovvero il Turiya, la trascendenza. Metaforicamente si può paragonare al suono del gong, che ha un inizio silenzioso, arriva all'apice e si assottiglia progressivamente fino a fondersi con il silenzio. Più che stati dell'individuo, dobbiamo parlare di stadi della sua coscienza, dove passando dal primo all'ultimo stadio, la consapevolezza del mondo diminuisce, mentre l'atman prende coscienza di sé come Assoluto. L'individuo, perché possa tornare al Brahman, deve percorrere in senso inverso gli stadi coi quali il Brahman si è concretizzato. L'ultimo stadio è quello in cui cessa ogni dualità, è uno stato indifferenziato nel quale il mutare tipico del mondo trova finalmente pace, è al di là del tempo e dello spazio. Questo stadio è rappresentato dal mantra Om. 

 

Nella Katha Upanishad, troviamo i primi riferimenti a un sistema di pensiero e di pratica che si possa definire yogico. Nell'Upanishad la mente viene paragonata alle redini di un carro, il corpo e i sensi ai due cavalli. A controllare la mente è l'intelletto (buddhi), paragonato a un auriga. Al di sopra dell'intelletto si trova il padrone del carro, il sé (atman). Questa Upanishad definisce lo yoga come un saldo controllo dei sensi: <<Per yoga si intende questo forte contenimento dei sensi. (Colui che lo pratica) non è allora più distratto. Yoga è, infatti, principio e fine>>. E' qui delineata una tecnica di concentrazione, di produzione di un mondo interiore, di assorbimento delle percezioni esterne, di dominio dei sensi diretta alla conoscenza dell'essere sommo, identificato con l'atman. La Katha Upanishad espone una sintesi di dottrine psicologiche e di teorie yogiche che riguardano direttamente la tecnica della liberazione, sostituendo alla conoscenza del rito e all'appropriata evocazione degli dei, la pratica della meditazione e l'indagine sulla conoscenza del Sé.  

 

Nella Maitry Upanishad, si parla di una pratica yogica a sei livelli: controllo del respiro (pranayama), ritrazione dei sensi (pratyahara), concentrazione (dhyana), concentrazione profonda (dharana), contemplazione (taraka) e assorbimento (samadhi). La parte più consistente dell'Upanishad è dedicata ai differenti aspetti del Brahman, sui quali per meditare correttamente è necessario ricorrere alla sillaba Om, dando risalto alla meditazione e quindi alla pratica dello Yoga: <<Così è la procedura per conseguire l'unione con Quello: controllo del respiro, ritiro dei sensi, meditazione, concentrazione, riflessione e contemplazione. Queste sei membra si dice che costituiscono lo Yoga. Quando, vedendo tramite tale Yoga scorge l'Agente dal colore dorato, il Signore, il Purusha, il Brahman quale fonte di tutto, allora il saggio, deponendo il merito e il demerito, unifica la totalità nel supremo Indefettibile. Così, infatti, è stato detto: "Come animali selvatici e uccelli non si rifugiano su una montagna in fiamme, ugualmente gli errori non albergano mai nei conoscitori del Brahman">>. 

 

E' in questi testi quindi, che troviamo espressi i primi concetti che daranno vita al pensiero filosofico che ruota intorno allo pratica dello yoga.